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16.09.2022

Come possiamo affrontare il razzismo antimusulmano?

Un contributo di Asmaa Dehbi (traduzione in italiano di Elisa Gaia)

 

Che cos’è il razzismo antimusulmano? 

Secondo l’Ufficio federale di statistica, il razzismo antimusulmano è una delle forme di razzismo più diffuse in Svizzera. Ma cosa si cela dietro questo termine? In questo articolo, Asmaa Dehbi illustra i contesti d’origine e i meccanismi della discriminazione contro le persone musulmane e spiega come questo tema possa essere affrontato. 

 

Razzismo antimusulmano: razzismo senza “razze”? 

Il razzismo antimusulmano è una forma di razzismo culturale (1) diretto verso le persone musulmane. Anche persone che non si identificano come musulmane possono essere colpite dal razzismo antimusulmano; ad esempio, persone che vengono percepite come musulmane a causa del loro nome, della loro origine o del loro aspetto (barba lunga, velo o turbante ecc.), ma che non appartengono alla fede islamica. Il razzismo contro le persone musulmane o le persone contrassegnate come tali funziona in modo simile ad altre forme di razzismo. Un gruppo di persone viene costruito in base a determinate idee di cultura, religione o origine come diverso e non appartenente (Othering (2)). Le persone appartenenti a questo gruppo vengono sospettate collettivamente di essere arretrate, violente, xenofobe, antidemocratiche, sessiste, omofobe e antisemite. La costruzione del razzismo antimusulmano funziona in primo luogo attraverso la naturalizzazione (“i musulmani e le musulmane sono così per via della loro religione e cultura”), in secondo luogo attraverso la generalizzazione (“tutte le persone musulmane sono così”), e in terzo luogo attraverso la polarizzazione (“le persone musulmane sono diverse da noi”) (Shooman, 2014, p. 63). 

 

Razzismo antimusulmano dopo l’11 settembre 

Il razzismo antimusulmano è aumentato particolarmente dopo l’11 settembre 2001. Da allora, le persone musulmane vengono dipinte nei media e nei dibattiti pubblici in Europa come un “problema”. Le discussioni ruotano spesso intorno a due ambiti: questioni di visibilità pubblica della religione, come l’utilizzo del velo o la costruzione di luoghi di culto, e quelle di sicurezza pubblica e radicalizzazione, ad esempio tra gli imam o i giovani (Centro svizzero islam e società (CSIS), n.d.). L’adozione del divieto di costruire minareti in Svizzera del 2009 è un esempio significativo di razzismo antimusulmano a livello costituzionale. A partire dagli anni Dieci del Duemila, anche il velo integrale è stato oggetto di dibattito. Nel 2013, il Canton Ticino ha approvato un’iniziativa per vietare il velo integrale negli spazi pubblici. Nel 2017, il Canton San Gallo ha emanato una legge simile. Nel marzo 2021, inoltre, è stata adottata l’iniziativa popolare “Sì al divieto di dissimulare il proprio viso”. Durante queste campagne sono stati presentati scenari di minaccia dell’“islamizzazione” della Svizzera e sono stati riprodotti gli stereotipi di una presunta “Überfremdung”(3) e infiltrazione delle persone musulmane. 

In tutti questi dibattiti si può osservare che i problemi sociali (ad esempio la radicalizzazione, il sessismo, ecc.) vengono “culturalizzati” ed attribuiti esclusivamente “all’islam” inteso come categoria omogenea (4). In questo modo, i fenomeni che colpiscono la società nel suo insieme possono essere attribuiti a musulmani e musulmane e la società maggioritaria può sentirsi esonerata da considerarsi responsabile di tali problemi. Ciò che accomuna queste discussioni spesso condotte in modo emotivo è che di solito viene discusso delle persone musulmane piuttosto che con loro. 

 

Il razzismo antimusulmano e le sue origini storiche 

I dibattiti sulla sicurezza e sul terrorismo dopo l’11 settembre 2001 hanno svolto un ruolo centrale nella stigmatizzazione delle persone musulmane. Tuttavia, la discriminazione nei confronti delle persone identificate come musulmane ha una lunga tradizione saldamente intrecciata con la storia dell’Europa. L’immaginario collettivo europeo in merito all’islam è stato forgiato dalla storia coloniale europea (5) (cfr. Rommelspacher, 2002). La figura dell’uomo musulmano violento, per esempio, è stata costruita dagli Europei occidentali nell’ambito delle crociate (XII-XIII secolo) per distogliere l’attenzione dalla brutalità delle proprie forze armate e per giustificare le proprie attività belliche. Nel corso dell’Illuminismo (XVIII secolo) si è imposta la rappresentazione del mondo musulmano come arretrato e barbaro, in modo che gli Europei potessero apparire come progressisti e dotati di ragione. In epoca vittoriana (XIX secolo) sono state inventate nuove immagini come la figura del “musulmano libidinoso” e della “musulmana seducente e incontaminata” in contrapposizione ai cristiani immaginati come “pudici”. In tutte queste epoche, l’obiettivo è stato quello di consolidare la propria identità occidentale rispetto a quella presunta straniera e “orientale”. 

 

Come possiamo affrontare il razzismo antimusulmano? 

Il razzismo antimusulmano ha effetti di ampia portata. Esso porta allo svilimento delle persone musulmane e di quelle contrassegnate come tali e rende loro difficile o impossibile l’accesso a settori importanti della società. In questo senso le narrative antimusulmane alimentano e giustificano la discriminazione nella ricerca di un lavoro, nella vita quotidiana, nel mercato immobiliare o addirittura la violenza per strada e gli attacchi contro le persone e le istituzioni musulmane. Quando le persone musulmane riportano esperienze di discriminazione o si inseriscono in campagne politiche, l’esistenza delle loro esperienze viene spesso negata o relativizzata. Spesso sono ritenute responsabili delle loro esperienze di esclusione. È quindi importante dare ascolto alle persone interessate, prenderle sul serio e renderle visibili.  Per questo, è necessario che la società nel suo complesso affronti le origini, il funzionamento e le conseguenze di vasta portata del razzismo antimusulmano. 

 

Asmaa Dehbi M.A. in Scienze dell’educazione, assistente di ricerca e dottoranda presso il Centro svizzero islam e società dell’Università di Friborgo, membro della direzione dell’Istituto Nuova Svizzera (INES) 

 


Note:

(1) Nel razzismo culturale (cfr. Hall, 1989) non sono solo le caratteristiche fenotipiche, cioè esterne, ad essere utilizzate per costruire l’Altro, ma vengono enfatizzati anche il nome, la lingua, l’accento o la religione di un individuo come caratteristiche discriminanti. 

(2) Si parla di Othering quando un gruppo di persone si differenzia da un altro gruppo descrivendo quest’ultimo come diverso e non appartenente. 

(3) Il termine “Überfremdung” è stato coniato nel 1900 in Svizzera da Carl Alfred Schmid, segretario dei poveri di Zurigo nel suo saggio “Unsere Fremdenfrage”. In esso Schmid parlava di “un grado così elevato di sovra-alienazione in Svizzera che la sua esistenza nazionale è concepibile solo per miracolo”. Il termine indica l’eccesso della presenza di stranieri sul piano demografico, ma fa anche riferimento ad una presunta perdita dell’identità culturale e dei valori svizzeri, nonché del benessere economico e sociale, che verrebbero alterati dalla presenza di altre culture. Il concetto riassume la lunga storia del dibattito politico svizzero contro l’immigrazione e gli stranieri. Nonostante il termine venga talvolta tradotto in italiano con “inforestierimento”, è stata adottata la versione originale (nota di approfondimento a cura del progetto “Memories of Racism). 

(4) Nella versione originale in tedesco di questo articolo e nel discorso sul tema in ambito germanofono si trova l’espressione „der/den” Islam. In mancanza di una versione corrispondente in lingua italiana è importante esplicitare il concetto in modo più esteso. L’espressione “der” Islam indica come nei discorsi presenti all’interno della società questa categoria sia percepita come un’unità omogenea. ”Der” Islam, tuttavia, è un prodotto di questi discorsi e non esiste nella realtà, poiché all’interno del mondo musulmano esiste una grande diversità (nota della traduttrice in accordo con l’autrice). 

(5) Pur non avendo acquisito colonie, la Svizzera ha un passato coloniale. La Svizzera ha operato economicamente in armonia con le potenze coloniali e tratto profitto dall’appropriazione militare di terre e risorse. I mercenari svizzeri hanno combattuto anche nelle guerre coloniali del XVIII e XIX secolo al servizio di potenze straniere (Von Albertini & Witz, 2008). 


Fonti: 

Hall, S. (1989), Rassismus als ideologischer Diskurs. Das Argument, 178, 913–921. 

Shooman, Y. (2014), „...weil ihre Kultur so ist": Narrative des antimuslimischen Rassismus. Bielefeld: Transcript-Verl. 

Centro Svizzero Islam e Società, Dibattiti pubblici. Reperibile qui.

Rommelspacher, M. (2002). Anerkennung und Ausgrenzung. Frankfurt am Main: Campus Verlag. 

Ufficio federale di statistica (2019). Indagine sulla convivenza in Svizzera: Risultati 2018. Reperibile qui. 

Von Albertini, Rudolf & Wirz, Albert (2008). Kolonialismus. Reperibile qui.