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07.09.2022

“Volevamo braccia, sono arrivati uomini”

Intervista a Toni Ricciardi, storico delle migrazioni

Un contributo di Valeria Camia 

 

Facciamo un gioco: giriamo nelle principali città della Svizzera e cerchiamo di cogliere con quale frequenza incontriamo parole italiane, oppure sentiamo parlare nella lingua di Dante. Non dovremo camminare molto per scovare esempi un po’ ovunque, e non solo in Canton Ticino e nel Grigione Italiano. Eppure il legame con la lingua e cultura italiana non è sempre stato motivo di vanto. Già perché “l’italianità” è un concetto che è stato a lungo legato, nello spazio pubblico svizzero, al mondo della migrazione dall’Italia, nei confronti della quale sono stati manifestati sentimenti ambivalenti. Si pensi ad esempio alla paura, diffusa, che gli immigrati dall’Italia potessero portare via posti di lavoro e alle rappresentazioni degli italiani nei manifesti politici tra la metà degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Ottanta: vi si ritrova, ricorrente ed esplicito, l’invito a diffidare dello straniero. «Solo negli ultimi decenni, e soprattutto oltralpe, ripetuti atteggiamenti di razzismo per anni perpetuati nei confronti della comunità italiana risiedente nel nostro territorio hanno visto perdere peso. Anche se non sono scomparsi», come ci spiega Toni Ricciardi, storico delle migrazioni presso l’Università di Ginevra e autore di diversi libri sul tema della migrazione di massa. 

 

Ma andiamo per ordine. E torniamo agli inizi del Novecento. La prima forma collettiva di razzismo nei confronti degli italiani in quanto gruppo o popolo risale proprio al primo decennio del secolo scorso. Infatti, se in precedenza vi erano state discriminazioni dirette contro singoli individui, i lavori per il Traforo del Sempione, inaugurato nel 1906, segnano un punto di svolta. «Le cronache mostrano come ad essere chiamati a lavorare alla galleria fossero operai provenienti da Romagna, Calabria e Sicilia, poiché si immaginava che queste persone, per la regione di provenienza, fossero più predisposte di altri a lavorare al caldo», precisa il professore.  

 

I decenni che seguirono videro crescere il numero degli italiani in Svizzera (dal 1946 al 1968 ne arrivano due milioni e a metà dei Sessanta se ne contano 500 mila) ma ad aumentare furono anche sentimenti anti-immigrazione tra la popolazione elvetica. Come si legge nella biografia di Leo Zanier (1935-2017), sindacalista e poeta che si occupò di migrazioni di massa soprattutto a livello operario, lo scandalo per i connazionali giunti dall’Italia a ricoprire lavori manuali in Svizzera con uno statuto da stagionale non era tanto Schwarzenbach – politico che lanciò la campagna contro “l’inforestierimento” (nota come "iniziativa Schwarzenbach”) culminata con la votazione popolare del 7 giugno 1970 (1) – quanto la mancanza di certezze, a fronte della tranquillità con cui si poteva essere fatti arrivare in Svizzera e, allo stesso tempo, si poteva finire per essere rimandati a casa. Una condizione, questa, discriminante e vissuta da uomini e anche da tante donne assunte ad esempio nelle fabbriche o ristoranti elvetici: persone forzatamente lontane dai propri famigliari, la cui vita fu per periodi anche lunghi caratterizzata da continui andirivieni, rientri e ripartenze, separazioni temporanee ma frequenti. 

 

Per gran parte del secolo scorso, la diffidenza, così come l’aperta ostilità, nei confronti di coloro che arrivavano dallo Stivale in cerca di lavoro è andata crescendo con picchi a partire dagli anni Sessanta e legati alla “meridionalizzazione del flusso” degli arrivi. Come ricorda Ricciardi, infatti, la prima iniziativa dichiaratamente contro i meridionali italiani fu lanciata dal profumiere zurighese Albert Stocker, proprio nel 1965; «in Canton Ticino, invece, bisognerà attendere alcuni decenni in più: è principalmente a partire dagli anni Ottanta che si radica un sentimento anti-immigrati e, nello specifico, contro coloro che provengono dall’Italia». 

 

Oggi, a oltre cinquant’anni da quegli eventi, com’è cambiata la percezione nei confronti dei migranti italiani? «Quella dei migranti italiani in Svizzera è una vicenda dalle molte sfaccettature, che affonda le sue radici in episodi di razzismo e diffidenza, sentimenti che restano ancora oggi, per certi versi, attuali», risponde Ricciardi. Allo stesso tempo, è distintamente percepibile l’apporto dei migranti alla crescita economica elvetica, all’evoluzione dei processi culturali e allo sviluppo della società. Insomma, la situazione è cambiata, ma solo in parte. E soprattutto, con evidenti variazioni e differenze cantonali. Come chiarisce lo storico, «in generale, in Svizzera, la presenza strutturata e massiccia degli italiani e la convivenza che sussiste ormai da due o anche tre generazioni con la popolazione svizzera hanno certamente favorito la presa di conoscenza reciproca». Detto diversamente, la vicinanza - anche forzata - ha indotto a trovare forme di accettazione reciproca, soprattutto a partire dagli anni Novanta. Basti pensare che da uno studio condotto nel 1969 su un campione di mille maschi a Zurigo emerse come oltre l’80% degli intervistati fosse contrario a matrimoni misti (ovvero tra svizzeri e migranti italiani), mentre lo stesso studio replicato venticinque anni dopo mostrava che l’opposizione a questo tipo di unioni era scesa a meno del 10%. Inoltre, l’esaurirsi della crisi degli anni Settanta nonché l’arrivo di altri immigrati (in particolare dai Balcani) hanno permesso di raggiungere un buon livello di integrazione, anche se, chiarisce il ricercatore di Ginevra, nel Paese la diffidenza verso l’altro rimane, talvolta latente, altre volte si palesa in modo molto chiaro. Un esempio? La votazione sull’iniziativa popolare “Contro l’immigrazione di massa” del 2014, approvata dai Cantoni svizzeri, tra i quali il Ticino dove il sì ottenne il 68.17% delle preferenze.  

 

Tutto ciò, conclude Toni Ricciardi, ci insegna che dobbiamo restare in allerta, consapevoli che la contrapposizione rispetto all’altro rimane costantemente al centro del dibattito pubblico, a prescindere dalle congiunture e diverse fasi storiche. 

 

Valeria Camia 

 


Note:

1. L’iniziativa popolare contro “L’inforestierimento” chiedeva di limitare il numero di stranieri in ogni cantone al 10% della popolazione svizzera. L’iniziativa la spuntò in sette cantoni e fu respinta col 54% di no. 


Fonti: 

1. Frisch M. (2012), Volevamo braccia, sono arrivati uomini, a cura di Mattia Mantovani. Locarno: Armando Dadò Editore. 

2. Ricciardi T. (2022), Storia dell'emigrazione italiana in Europa: Vol. 1: Dalla Rivoluzione francese a Marcinelle (1789-1956). Roma: Donzelli.