• La complessità religiosa in India e Io / 20.12.2024

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  • Amodini - Guide en Route
  • Questo articolo è legato al mio precedente contributo, intitolato “Visioni dell’India.” Dopo aver parlato della pluralità religiosa sul territorio, in questo secondo articolo di blog parlerò della mia esperienza personale a contatto con il variato e complesso mondo delle religioni durante le tre settimane trascorse in India. 

    Questo articolo è legato al mio precedente contributo, intitolato “Visioni dell’India.” Dopo aver parlato della pluralità religiosa sul territorio, in questo secondo articolo di blog parlerò della mia esperienza personale a contatto con il variato e complesso mondo delle religioni durante le tre settimane trascorse in India. 

    Vorrei cominciare specificando che ho origini indiane e sono stata adottata da molto piccola. Questo viaggio ha dunque avuto anche una dimensione personale particolare. 

    Il soggiorno di studio è stato organizzato dal dipartimento di indologia dell’Università di Zurigo, ma è stato aperto anche a studenti provenienti da altre discipline con un particolare interesse di ricerca sulla situazione sociopolitica attuale in India. Durante questo viaggio di studio abbiamo alloggiato per due settimane presso il Bed&Chai a Delhi, con il fine settimana trascorso ad Amritsar, in Punjab. Due pensioni molto semplici, ma famigliari. 

    Appena arrivata, il primo impatto è stato forte soprattutto perché ora, grazie ai corsi di lingua dell’università di Zurigo, comincio a comprendere l’hindi, la lingua più diffusa nella regione a Nord dell’India, dove ci trovavamo. Cominciando a poter fare brevi conversazioni, all’arrivo mi sono sentita come se si aprisse un nuovo mondo davanti a me. Ogni incontro che ho potuto fare durante il soggiorno è stato particolare e mi ha fatto sentire vicina alle persone. Allo stesso tempo, ho trovato l’esperienza sfidante da un punto di vista emotivo. Malgrado le prime difficoltà tra caldo, pensieri e comunicazione, non mi sono arresa e ho compreso che dovevo vivere quel momento speciale prima che finisse senza che me ne accorgessi.

    Durante il programma estivo abbiamo presto sperimentato insieme, come gruppo di studio, la ricchezza di pratiche quotidiane e flessibilità che ci circondavano anche grazie alle visite e ad interventi organizzati con relatori accademici della regione. Abbiamo anche avuto l’opportunità di visitare due università: l’università di Jawaharlal Nehru (JNU) a Delhi e l’università di Ashoka a un’oretta da Delhi, e di incontrarne alcuni studenti. In queste occasioni ho avuto la possibilità di venire a contatto con diverse persone con esperienze di vita differenti, sia sociali che religiose. 

    In questo contesto ho potuto sperimentare anche la mia fede cristiana in relazione alle persone incontrate. Ho vissuto diversi momenti a contatto con l’ambiente che mi circondava e nella mia preghiera con il Padre, momenti che per me sono stati tra le esperienze più belle. Mi sentivo a casa e in armonia con diverse persone che ho incontrato, un sentimento che ho cercato costantemente. 

    Un’altra esperienza molto toccante l’ho vissuta a Mumbai, dove ci siamo recate con due mie compagne del corso una volta finito il programma estivo. Abbiamo conosciuto la famiglia del ragazzo della mia compagna e mi sono particolarmente legata a sua sorella. Abbiamo potuto condividere diversi momenti insieme, ma il più prezioso è stato il namāz, un momento di preghiera che abbiamo condiviso. Il namāz è un termine di provenienza araba che definisce la preghiera delle persone musulmane (Lane 1963: 1721). Una volta venuta a conoscenza che lei pregava regolarmente, ho sentito il desiderio di farlo insieme, ma per rispetto ho pensato che sarebbe stato meglio chiederglielo prima di aggregarmi. Dunque, cercando anche una possibilità di riflessione comune le ho chiesto se potessimo pregare insieme. Personalmente  credo che la preghiera sia una possibilità di incontro che può andare oltre le proprie credenze e che quindi sia possibile anche tra persone di fede differenti. Lei ha preferito fare ugualmente una breve ricerca in internet dove ha trovato risposte che l’hanno convinta. Una volta che eravamo a casa sua, ho dunque partecipato anch’io alla preghiera, cercando di imitarla e allo stesso tempo connettermi nella mia relazione personale con Dio. Penso che questo momento sia stato la testimonianza migliore per dimostrare che non ha importanza che tradizione religiosa segui, ma l’attitudine e l’apertura di cuore di coloro che pregano. 

    Con queste parole desidero concludere la mia breve testimonianza e ringraziare tutti coloro che si sono presi il tempo per leggere questo mio articolo blog.

    BIBLIOGRAFIA

    Lane, Edward William (1963): An Arabic-English Lexicon. Beirut, Lebanon: Librairie du Liban. p. 1721, accesso online : https://www.tyndalearchive.com/TABS/Lane/, 25.11.2023.

  • Visioni dell'India / 15.12.2024

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  • Amodini - Guide en Route
  • L’india è un paese ricco di tradizioni religiose e culture che ho avuto la fortuna di visitare grazie ad un programma estivo organizzato dal dipartimento di indologia dell’università di Zurigo. In questo articolo verrà presentato qualche dato sulla grande pluralità religiosa presente sul territorio. 

    L’india è un paese ricco di tradizioni religiose e culture che ho avuto la fortuna di visitare grazie ad un programma estivo organizzato dal dipartimento di indologia dell’università di Zurigo. L’intenzione di questo breve testo è mostrare la diversità religiosa che ho potuto osservare durante il mio soggiorno in India nell'estate 2023.

    Chiaramente avendo conosciuto solo qualche regione a Nord dell’India non potrò fare un discorso generale, perché l’India è un territorio molto ricco di tradizioni religiose differenti (Berger 1995 ; Malinar 2015). Presenterò una lettura critica dei dati sulla molteplicità religiosa che caratterizza la popolazione. 

    Dati e geografia della religiosalità in India

    La mappa riportata in basso (Le Monde diplomatique 07.2019) offre un quadro generale dell'ultimo dei dati raccolti nel 2011 (nota 1) riguardanti la varietà delle appartenenze religiose presenti nel territorio attuale indiano. 

    Prima di tutto si nota una netta maggioranza di persone induiste (80% della popolazione). La minoranza religiosa più popolosa è composta da persone di fede musulmana, che sappresentanto il 14% della popolazione. Oltre a queste due tradizioni religiose vi sono anche diverse altre minoranze, come persone di fede cristiana (2,3%), sikh (1,7%), buddhista (0,7%) e un insieme eterogeneo di altre comunità religiose e forme di spiritualità minoritarie (1,3%) che nemmeno si riescono a visualizzare in una rappresentazione visiva (Le Monde diplomatique 07.2019).

    I dati percentuali purtroppo offrono solo una visione parziale della composizione religiosa della popolazione (Singh, 2019) e della complessità delle appartenenze e pratiche religiose in India (Lee 2021). Ciò è ben visibile dalla mappa, che mostra come  la maggioranza religiosa può variare da regione a regione, in maniera più o meno definita (Singh, 2019). In particolare, nella geografia delle comunità religiose, si riscontrano delimitazioni regionali piuttosto nette nelle comunità sikh, cristiane, induiste e musulmane (Singh, 2019: 77–79). Le comunità induiste, ad esempio, parte del gruppo religioso più popoloso, sono ampiamente diffuse e maggioritarie su tutto il territorio centrale, ma la loro presenza è meno densa nelle regioni periferiche. Nelle regioni a Nord del paese, e in particolare nei territori del Kashmir e Jammu, vi è una forte presenza di comunità musulmane. In Punjab, invece, la regione nord-occidentale alla frontiera con il Pakistan, la maggioranza della popolazione è sikh. Sebbene di piccole dimensioni, il Punjab è una delle regioni religiose più compatte di tutto il paese (Singh, 2019: 78). Le comunità cristiane sono invece concentrate in particolare negli stati meridionali del Kerala e di Tamil Nadu, ma anche nelle piccole regioni nord-occidentali al confine con la Cina, il Bhutan, il Myanmar e il Bangladesh (Pew Research Center, 2021a: 20).

    Complessità delle appartenenze religiose e spirituali

    Inoltre, il fatto che non si riesca ad avere una chiara visione di tutte le comunità minoritarie religiose è dovuto, da una parte, all’enorme numero di abitanti nel paese (1'435'731’200 alle 15.03 del 15.01.2024 Worldometro, India Population), che rende difficile il censimento, e dall’altra da una difficoltà stessa degli individui a identificarsi in una tradizione religiosa specifica (Lee 2021: 41). Le ricerche di Lee (2021) rilevano una grande flessibilità tra le diverse correnti religiose e nelle pratiche, credenze e appartenenze religiose delle persone in India. Una recente indagine condotta dal Pew Research Center dimostra infatti come molte persone in India integrino tradizioni religiose diverse nelle loro pratiche. A seguito di una convivenza di più generazioni, alcune minoranze combinano tradizioni religiose diverse nelle loro pratiche, adottando spesso usanze induiste. Molte donne musulmane, sikh e cristiane, ad esempio, indossano il bindi, un simbolo tipicamente induista. Allo stesso modo, molte persone abbracciano credenze non tradizionalmente associate alla loro fede: nonostante non facciano parte delle loro tradizioni religiose, credenze come il karma e la reincarnazione sono diffuse tra i musulmani e i cristiani (Pew Research Center, 2021b: 43-44). Tuttavia, la maggior parte delle persone appartenenti a diverse tradizioni religiose ritiene che le minoranze religiose condividano pochi punti in comune tra loro. (Pew Research Center, 2021b: 38). 

    Questo articolo ha cercato di dare una visione, anche se semplificata, della complessità della religiosità presente sul territorio dell'India. Ringrazio il progetto "Dialogue en Route" e la coordinatrice delle guide Ambra Ostinelli, che hanno reso possibile la realizzazione di questo articolo, e tutti coloro che hanno dedicato un attimo di tempo per leggerlo.

    NOTE      

    (1) In India, l'ultimo censimento si è tenuto nel 2011, mentre il successivo, previsto per il 2021, è stato rinviato a causa della pandemia di COVID-19. 

    BIBLIOGRAFIA

    Berger, Hermann (1995) Die Vielfalt der indischen Sprachen, in Rothermund, D. (ed.): Indien: Kultur,Geschichte, Politik, Wirtschaft, Umwelt: Ein Handbuch, München, pp. 101–110.

    Lee, Joel (2021) Deceptive majority: Hinduism, untouchability, and underground religion. 
    Cambridge University Press.

    Malinar, Angelika (2015) “Religious Pluralism and Processes of Individualisation in Hinduism”, Religion, Vol. 45, No. 3: 386-408.

    Marlin, Céline (07.2019) A religious map of India, Le Monde diplomatique, https://mondediplo.com/maps/india-religion, 17.01.2024.

    Pew Research Center (2021a), Religious Composition of India, https://www.pewresearch.org/religion/2021/09/21/religious-composition-of-india/ 

    Pew Research Center (2021b), Religion in India: Tolerance and Segregation, https://www.pewresearch.org/religion/2021/06/29/religion-in-india-tolerance-and-segregation/ 

    Singh, Mehar (2019) “Religion in India: Religious Composition of Population and Religious Regions”, Research Journal ARTS, vol. 18, n. 1, pp. 63-80.

    Worldometer: India Population (LIVE), https://www.worldometers.info/world-population/india-population/, 15.01.2024.
     

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  • "Verso delle Chiese inclusive?” resoconto della Tavola rotonda / 18.10.2024

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  • Enea Bacilieri - Guide en Route
  • Al fine di promuovere il dialogo attraverso la conoscenza, sabato 18 novembre 2023 “Dialogue en Route” ha organizzato una tavola rotonda con tre partecipantə attivə in diversi progetti volti a rafforzare l’inclusività all'interno delle Chiese riformate di Ginevra, Vaud e Neuchâtel:

    Al fine di promuovere il dialogo attraverso la conoscenza, sabato 18 novembre 2023 “Dialogue en Route” ha organizzato una tavola rotonda con tre partecipantə attivə in diversi progetti volti a rafforzare l’inclusività all'interno delle Chiese riformate di Ginevra, Vaud e Neuchâtel:

    Nicole Rochat, dell'associazione “Arc-en-ciel” di Neuchâtel, pastore, terapeuta di coppia e sessuologa; Andrea Coduri, animatorə per la Chiesa evangelica del canton Vaud del gruppo “Église inclusive” e del gruppo di sostegno “À Bras Ouverts”, formatorə per ministri, pastori et diacri ed Erin Lederrey, presidente dell'Antenna LGBTI di Ginevra e cappellana militare.

    Obiettivo dell’incontro, moderato da Yanncy Fanti (guidə di Dialogue en Route formatə in scienze delle religioni e studi di genere), è stato di discutere dell’inclusione delle persone LGBTIQ+ nelle Chiese protestanti in Svizzera. La discussione ha visto la condivisione di esperienze di successo, ma anche delle sfide ancora attuali per raggiungere una maggiore inclusività, rimanendo però circoscritta ai contesti locali di lavoro e di esperienza dei partecipanti nei cantoni di Ginvevra, Neuchâtel e Vaud, e non di tutte le Chiese riformate in Svizzera.  

    Parlando d’inclusività, viene messo fin dall’inizio in chiaro dallə moderatorə Yanny Fanti che con questo concetto si indica lo sforzo democratico di dialogo e può riferirsi a qualunque persona o gruppo che subisca delle situazioni di esclusione. In questo caso specifico, trattandosi di persone LGBTIQ+, la questione va a scontrarsi con una struttura istituzionale in alcuni casi più conservatrice o in altri casi più aperta, portando a reticenze ed aperture. Come è quindi possibile affrontare l’esclusione a livello macro (delle istituzioni/strutture) e micro (individuale)?  

    Erin Lederrey inizia parlandoci di come, in quanto cappellana per l’Esercito Militare Svizzero, la sua identità di donna transgender all’interno di questo ambiente ha portato spesso molta sorpresa, oltre che a prese in giro nei suoi confronti. Nonostante ciò, Erin si è riuscita a sentire sempre più accettata ed inclusa. Parlandocene, la sua testimonianza ci dimostra come, nonostante l’evoluzione del contesto democratico, politico e sociale permetta ormai alle persone LGBTIQ+ di godere di sempre più diritti, molte situazioni nella loro vita rimangono complicate. In particolare, l’identità di genere e l’orientamento sessuale di queste persone può spesso finire per scontrarsi con la visione dei valori, la disapprovazione o la reticenza all’apertura delle comunità religiose di appartenenanza, nonché a problemi di discriminazione strutturale presenti in alcune istituzioni. 

    Le questioni LGBTIQ+ si rivelano così come un segno di demarcazione e di posizionamento siccome alle persone LGBTIQ+ credenti rimangono poche soluzioni per continuare pacificamente la propria vita sociale e spirituale, oltre che in modo coerente verso loro stessə. Alcune persone considerano così di cambiare comunità e reinterpretare la Bibbia e il suo messaggio secondo la propria individualità e le proprie preferenze. Mettendo in moto un processo di rimescolamento e di rottura delle barriere di denominazione, queste persone arrivano da più confessioni e vanno verso le Chiese inclusive. Allontanandosi dalle proprie istituzioni religiose, cercano nuove interpretazioni che considerano maggiormente il loro vissuto, rimanendo spesso nel cristianesmo. L’inquietudine vissuta a causa della loro identità nella precedente comunità, abbandonata per abbracciare nuove interpretazioni, permette di attraversare un processo di “decostruzione e ricostruzione”.  

    Sul piano legislativo, Lederrey ci ricorda però che ci sono ancora molte questioni importanti da affrontare, come il divieto delle terapie di conversione, nonostante la loro definizione resti complicata.  

    Andrea Coduri afferma che è necessario armarsi di pazienza, perchè nonostante ci siano persone contrarie ai diritti LGBTIQ+ nella Chiesa evangelica riformata, queste devono comunque osservare la legge svizzera contro la discriminazione e l’omofobia. Andrea sostiene inoltre che l’inclusione delle persone vulnerabili è fondamentale, perché corrisponde al messaggio biblico. 

    Viene quindi consigliato in particolare di fare attenzione alle persone che si hanno attorno, perché certi legami con persone intolleranti possono ferire le persone LGBTIQ+, nonostante esse siano magari familiari o amici. Nel voler promuovere l’inclusione bisogna quindi comunicare con tutte le parti, rimanendo però vigili e mantenendo un approccio fondato sul legame umano. 

    Nicole Rochat concorda su come non vi sia ancora omogeneità per le questioni d’inclusività, ma osserva grandi cambiamenti. Anche se nel complesso resta difficile muoversi, il ruolo e l’importanza della politica si fa sentire ovunque, portando in alcuni casi anche la Chiesa cattolica romana ad una sorprendente apertura. In quanto sessuologa e allo stesso tempo pastore, Rochat si occupa principalmente di questioni di salute sessuale e della rilettura teologica. Secondo lei è importante infatti riappropriarsi della Bibbia e osare farlo, perché è ciò che rende la Bibbia "la Parola del Signore". Secondo Rochat, Gesù non era intenzionato a discriminare ed è per questo che la teologia Queer prenderebbe così il merito di evitare un inconveniente moralismo, essendo considerata come una rilettura e una visione tra molte altre, ma senza affermarne una sopra le altre. 

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  • Prospettive pro alle aspettative / 17.12.2018

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  • Federico - Guide en Route
  • In conclusione del 2018, Federico ripercorre un momento fondamentale vissuto da Dialogue en Route quest’anno: la festa di inaugrazione del progetto in Ticino e Svizzera nord-occidentale. 

    Questo settembre si è tenuta l'inaugurazione del progetto "Dialogue en Route" nella Svizzera centrale e nella Svizzera italiana. Si tratta di un grande passo per questo progetto, perché partendo dalla Svizzera tedesca esso comincia lentamente ad estendersi in tutto il territorio elvetico, portando sempre più giovani a contribuire alla causa della scoperta e del dialogo tra le diverse realtà culturali e religiose che tanto arricchiscono il nostro paese.

    Ho avuto la fortuna di partecipare all'evento in veste di ogni ruolo possibile: siccome l'imam della moschea di Viganello non ha potuto attendere per motivi di salute, mi sono presentato come rappresentante della moschea oltre che come guida di Dialogue en Route. Inoltre, le mie mansioni tra gli organizzatori erano ristrette in specifiche fasi orarie, permettendomi quindi di osservare con attenzione lo sviluppo di tutto l'evento dall'inizio alla fine.

    Insomma, sono stato spettatore, staff, guida e anche rappresentante di una stazione in una sola giornata! Ero già stato all'inaugurazione del progetto in Svizzera tedesca, e devo dire che sono fiero dei risultati che abbiamo ottenuto qui. Tutti i partecipanti hanno avuto varie occasioni per incontrarsi e confrontarsi, il clima era piacevole e tutti sono usciti con grandi sorrisi!

    C'era un clima sereno, senza sfarzi, e probabilmente era la cosa migliore per partire con tanta voglia di lavorare e creare qualcosa assieme!

    Presentazioni, scoperte e dialoghi

    Durante la mattina si sono svolte le presentazioni delle varie stazioni, ossia dei partner che collaborano al progetto. Erano presenti diciotto rappresentanti che hanno portato un oggetto per loro significativo per raccontare la storia della loro istituzione (luogo di culto, associazione o museo). I rappresentanti hanno ricevuto il logo di Dialogue en Route da esporre nella propria Stazione. Naturalmente c’è stato anche il tempo per presentare al pubblico i giovani che partecipano in qualità di guide e ringraziarli con un piccolo pensiero: un cappellino che può essere utile quando fanno le loro visite!  

    Il tutto è stato accompagnato dai discorsi della presidente di IRAS COTIS Rifa’at Lenzin, che ha presentato la storia dell’associazione, dalla coordinatrice ticinese Martina Robbiani che ha presentato il progetto e dal responsabile Simon Gaus e dalla direttrice Katja Joho che hanno ringraziato i collaboratori, i partner, gli sponsor e tutti i sostenitori del progetto. 

    Cibo, henné e risate

    Quando è arrivato il pranzo, tutto il giardino era animato di dialoghi e risate. Il senso di unione che ne veniva fuori era davvero bello!

    Il cibo era spettacolare! C'erano cibi da tanti paesi diversi, compresi deliziosi dolcetti siriani che ancora adesso mi fanno venire fame, ma forse non dovrei raccontare queste cose, considerando che dovevo aiutare a servire il cibo, e non a mangiarlo :P

    Durante il pomeriggio alcune stazioni hanno spiegato più nel dettaglio le loro attività, mentre una ragazza marocchina faceva stupendi tatuaggi con l'henné a chi lo chiedeva. Il pubblico era davvero interessato e mi ha fatto molto piacere.

    Il momento più bello della giornata, è stato probabilmente quando abbiamo consegnato alla nostra responsabile Martina un regalo di ringraziamento per il suo lavoro. Ci ha davvero seguito tanto in questo percorso ed ha fatto un lavoro davvero grande. Speriamo che i risultati di questo lavoro siano come germogli che mirano a sbocciare in bellissimi fiori!

    E chiaramente, siamo già attivi per la preparazione della prossima festa, che avrà luogo sempre nel mese di settembre, ma questa volta tocca alla Svizzera francese! 

  • La fede: dialogo tra due non credenti (parte 2) / 08.04.2018

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    Lucia - Guide en Route
    Leandro - Guide en Route

     

    Lucia e Leandro continuano la loro riflessione sul rapporto dell’uomo con la religione: esso può diventare un problema? Da non credenti, si perdono qualcosa?

    Lucia - Guide en Route
    Leandro - Guide en Route

     

    Lucia

    Dal mio punto di vista, la religione è storicamente nata per rispondere ai problemi e alle domande dell’uomo. Quindi forse da una parte è normale che venga utilizzata ancora oggi come maniera per spiegare i problemi più complessi che possiamo riscontrare. Posso capire che riferirsi a qualcosa di scritto possa portare conforto a molte persone.

    Non è forse più semplice avere già una risposta chiara per spiegare i fenomeni più inspiegabili? Non è forse più bello pensare che una malattia sia stata provocata da una forza maggiore? Invece, da persona atea, l’unica cosa che puoi dire è che “la vita è fatta da imprevisti”. Non hai nemmeno il conforto di sapere che nei casi più terribili, il tuo caro vada in un posto migliore. Sei tu, da individuo, perso in un mondo troppo caotico a doverti spiegare il senso della vita.

    D’altro canto però, temo il rischio che la religione possa essere utilizzata come giustificativo per tutto. Se da una parte, la religione può aiutare l’individuo nei suoi momenti bui, non può essere utilizzata come unica risposta nei momenti di tragedia.
    Personalmente, non ho ancora avuto dei problemi nella mia vita tanto grandi da dover trovare delle risposte in qualcosa di esterno. Dunque non posso essere del tutto sicura che non avrò mai bisogno di un aiuto esterno. Mi chiedo però se ci sono davvero degli episodi della nostra vita che possano solo essere spiegati tramite la fede. In più, quando la fede come giustificazione può diventare un problema?

     

    Leandro

    Credo che giustificare tutto con la fede diventi un problema nel momento in cui si inizia a trascurare quelle che sono le reali soluzioni di un problema. A parer mio qualsiasi religione non dovrebbe prefiggersi l’obiettivo di spiegare la realtà, ma piuttosto quello di accompagnare il credente attraverso di essa.

    Trovo che sia sbagliato generalizzare e contrapporre i religiosi e gli atei, perché credo che all’interno dei due gruppi esistano veramente tante differenze, esattamente come tante sono le somiglianze invece tra un gruppo e l’altro. Ci sono atei che a parer mio sono molto più spirituali di persone che si dicono religiose, e viceversa. Alla fine quello che cerchiamo tutti è un conforto, l’unica cosa che cambia è dove lo troviamo. C’è chi riesce nella spiritualità, chi in se stesso, chi nelle cose materiali e chi negli altri, ma questo non dipende dall’essere ateo o religioso, dipende unicamente dalla personalità individuale di ognuno di noi.

    Un’ultima cosa che volevo aggiungere riguarda la tua frase “Non hai nemmeno il conforto di sapere che nei casi più terribili, il tuo caro vada in un posto migliore”. Senza dubbio esistono varianti dell’ateismo puramente materialistiche e pessimistiche, ma fortunatamente non sono le uniche. Sottintendere che l’essere ateo precluda la possibilità di una ascensione post-mortem e di una visione di un “aldilà” positivo credo sia nocivo per il dialogo interreligioso e spirituale. Il dibattito su questo tema potrebbe essere lungo, ma il punto che voglio esprimere è che credo sia meglio considerare l’ateismo non tanto come la distruzione di tutto ciò che è religioso, quanto piuttosto come la costruzione di una dimensione che, nel rispetto della prima, cerca di tracciare una propria via indipendente.

  • La fede: dialogo tra due non credenti (parte 1) / 06.04.2018

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    Lucia - Guide en Route
    Leandro - Guide en Route

    In questo diablog, Lucia e Leandro, due giovani non credenti, discutono del rapporto che hanno avuto con la religione durante l’infanzia. 

    Lucia - Guide en Route
    Leandro - Guide en Route

     

    Lucia

    La fede non è mai stata parte della mia quotidianità. Sono cresciuta senza andare a messa la domenica e i regali di Natale li portava Babbo Natale. Ho vissuto gran parte della mia infanzia a San Diego, una città molto internazionale, quindi non ho mai notato una grande differenza tra le mie abitudini e quelle altrui prima di trasferirmi. Tuttavia, nel mio nuovo paesino ticinese non frequentare il corso di religione era un’anomalia.

    Inizialmente non capivo perché non partecipavo, la fede era una concezione ancora molto astratta per me. Sapevo solo che i miei compagni avevano lezione e io ero in uno stanzino a disegnare. Fino al termine alla scuola obbligatoria ho visto i miei compagni credenti continuare a partecipare alla lezione di religione mentre io stavo fuori.

    L’evento che più mi ricordo di quel periodo era la preparazione alla cresima. Molte volte chiedevo ai miei compagni di spiegarmi cosa volesse dire compiere questo sacramento. Le risposte variavano: alcuni lo facevano per tradizione, altri per una questione di vera e propria fede e certi per “i soldi della cresima”.  Tutti però sapevano in un modo o nell’altro che era un passo importante nella loro vita e nel loro rapporto con la Chiesa.

    Penso però che se ora andassi a parlare con i miei compagni di allora, molti di loro si dichiarerebbero atei o agnostici. Il rapporto tra l’individuo e la fede nel XXI secolo è decisamente cambiato. Forse, la fede non è più una risposta adeguata ai nostri problemi?

     

    Leandro

    Non mi è difficile comprendere il senso di estraneità che questo genere di esperienza possa averti potuto provocare, tuttavia la mia risposta viene da uno di quei ragazzi che, come dici te, compiono sacramenti senza capirli, eseguendoli più come dei meccanismi sociali piuttosto che per quello che realmente rappresentano.

    Sono stato cresciuto da due genitori con una fede “patchwork”: un padre che si professa agnostico e una madre la cui Bibbia funge da base per una statuina del Buddha, contornato da statuette di divinità pagane brasiliane. Ad ogni modo, fin da piccolo la fede cattolica mi è stata imposta, un po' attraverso la frequentazione delle lezioni di religione e un po' attraverso lo scautismo cattolico. Proprio a causa di queste imposizioni, probabilmente ho elaborato una sorta di resistenza a tutto ciò che è definibile come spirituale, fino a quando ho iniziato a frequentare lezioni di filosofia, che mi hanno aiutato a trovare un po' di risposte anche in questo ambito finalmente.

    Penso che il mio caso sia simile a quello di molti altri giovani: in una società piena di stimoli, la fede non basta più come risposta per spiegare una complessità di idee e di moralità differenti data da diverse culture. Esiste tuttavia chi riesce ancora a trovare risposte nella religione. Queste persone, a mio parere, si dividono in due categorie: quelli che sviluppano una fede sufficientemente forte teoricamente da spiegare la complessità della realtà, e una seconda categoria che invece non si preoccupa di fare ciò. Una domanda alla quale non trovo risposta è quanto sia corretto il modo di procedere di questa seconda categoria.