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08.09.2022

Bambini nascosti

Intervista a Catia Porri 

Un contributo di Valeria Camia 

 

Il numero è enorme: tra 10’000 e 30’000 bambini stranieri, per lo più con passaporto italiano, hanno vissuto nascosti in Svizzera tra gli anni Sessanta e Settanta. Non erano figli di immigrati senza permesso; i loro genitori non avrebbero dovuto essere rimpatriati: a essere illegali erano proprio i piccoli. Stiamo parlando del fenomeno dei "bambini nascosti", quei figli di stagionali e immigrati annuali che giungevano nella Confederazione dove potevano soggiornare per un periodo limitato di mesi e, soprattutto, non avevano diritto al ricongiungimento familiare. E così, mamme e papà “utili all’economia”, pur di mantenere unita la famiglia, tenevano la propria prole con sé di nascosto. 

 

Catia Porri è stata una bambina nascosta. Ricorda ancora molto bene il giorno in cui la sua famiglia ricevette una lettera da parte della polizia per gli stranieri: si leggeva che Catia, giovane poco più che dodicenne, doveva lasciare la Svizzera entro due giorni, perché i genitori erano degli “stagionali” (1). Da quel momento “io divenni clandestina. Era il 1962” – ricorda Catia, per la quale seguirono mesi trascorsi da segregata in una stanza dell’appartamento affittato dai genitori – “A pesare moltissimo era la privazione di ogni forma di socializzazione con i coetanei e il fatto di non poter accedere alla formazione scolastica dal momento che i bambini nascosti non esistevano di fronte alle autorità elvetiche”.  

 

Catia è tra le voci più critiche delle leggi elvetiche di quegli anni, portabandiera di quanti additano alla Svizzera la responsabilità primaria dei costi umani inflitti ai bambini nascosti, ma non tutti coloro che vissero, come Catia, in clandestinità condividono questa prospettiva.  

 

“Il paradosso, drammatico, è che molti dei piccoli protagonisti di questa storia di discriminazione attribuiscono la responsabilità della loro clandestinità a una scelta imputabile principalmente alla propria famiglia e non guardano con sguardo critico alla responsabilità della Svizzera”, afferma con amarezza Catia. Cosa significa? “Molti figli non hanno mai compreso la decisione di padri e madri di farli vivere da clandestini e ancora oggi, a distanza di anni, li considerano i principali carnefici della propria clandestinità. Ricordo, ad esempio, la comunicazione che ricevette mio papà. Era ordinato che io partissi ma non era chiesto a lui (o a mamma) di rimanere qui, in Svizzera. Insomma, i miei genitori avrebbero potuto fare ritorno in Italia, con me, alla luce del sole. Nessuno li obbligava a rimanere a Zurigo. Ecco, questa scelta di tanti adulti che, come i miei genitori, hanno scelto di restare nascondendo i propri figli è stata fonte, negli anni a venire, di rotture, divisioni e traumi familiari”.   

 

Nell’ottobre del 2021, insieme ad altri “bambini nascosti", Catia ha fondato l’associazione Tesoro, la quale si dedica alla difesa degli interessi delle famiglie che hanno subito le conseguenze dello “statuto dello stagionale” in Svizzera ma si batte anche, più in generale, per la difesa dei diritti umani. Nel nostro Paese, infatti, benché lo statuto di stagionale, entrato in vigore dal 1943, sia stato abolito con l’introduzione degli accordi di libera circolazione fra Unione Europea e Svizzera nel 2002, “permangono contratti di lavoro di breve durata e altre forme di precariato. Inoltre, con l’approvazione nel 2014 dell’iniziativa “Contro l’immigrazione di massa”, è di nuovo sancita dalla Costituzione svizzera la possibilità di dividere le famiglie di stranieri”, denuncia Catia, la quale auspica che l’opinione pubblica elvetica acquisisca “non solo piena coscienza della violenza inflitta per legge a esseri umani innocenti, ma si mobiliti anche contro le forme di discriminazione tuttora esistenti”. 

 

Valeria Camia 
 


Note: 

1. Lo statuto dello stagionale è un tipo di permesso di soggiorno (permesso A) rilasciato dalle autorità svizzere agli stranieri che lavorano in Svizzera per la durata di una stagione (nove mesi). Alle persone con questo statuto non era consentito cambiare lavoro, domicilio e farsi raggiungere dalle proprie famiglie.