08.04.2018

La fede: dialogo tra due non credenti (parte 2)

Lucia - Guide en Route
Leandro - Guide en Route

 

Lucia

Dal mio punto di vista, la religione è storicamente nata per rispondere ai problemi e alle domande dell’uomo. Quindi forse da una parte è normale che venga utilizzata ancora oggi come maniera per spiegare i problemi più complessi che possiamo riscontrare. Posso capire che riferirsi a qualcosa di scritto possa portare conforto a molte persone.

Non è forse più semplice avere già una risposta chiara per spiegare i fenomeni più inspiegabili? Non è forse più bello pensare che una malattia sia stata provocata da una forza maggiore? Invece, da persona atea, l’unica cosa che puoi dire è che “la vita è fatta da imprevisti”. Non hai nemmeno il conforto di sapere che nei casi più terribili, il tuo caro vada in un posto migliore. Sei tu, da individuo, perso in un mondo troppo caotico a doverti spiegare il senso della vita.

D’altro canto però, temo il rischio che la religione possa essere utilizzata come giustificativo per tutto. Se da una parte, la religione può aiutare l’individuo nei suoi momenti bui, non può essere utilizzata come unica risposta nei momenti di tragedia.
Personalmente, non ho ancora avuto dei problemi nella mia vita tanto grandi da dover trovare delle risposte in qualcosa di esterno. Dunque non posso essere del tutto sicura che non avrò mai bisogno di un aiuto esterno. Mi chiedo però se ci sono davvero degli episodi della nostra vita che possano solo essere spiegati tramite la fede. In più, quando la fede come giustificazione può diventare un problema?

 

Leandro

Credo che giustificare tutto con la fede diventi un problema nel momento in cui si inizia a trascurare quelle che sono le reali soluzioni di un problema. A parer mio qualsiasi religione non dovrebbe prefiggersi l’obiettivo di spiegare la realtà, ma piuttosto quello di accompagnare il credente attraverso di essa.

Trovo che sia sbagliato generalizzare e contrapporre i religiosi e gli atei, perché credo che all’interno dei due gruppi esistano veramente tante differenze, esattamente come tante sono le somiglianze invece tra un gruppo e l’altro. Ci sono atei che a parer mio sono molto più spirituali di persone che si dicono religiose, e viceversa. Alla fine quello che cerchiamo tutti è un conforto, l’unica cosa che cambia è dove lo troviamo. C’è chi riesce nella spiritualità, chi in se stesso, chi nelle cose materiali e chi negli altri, ma questo non dipende dall’essere ateo o religioso, dipende unicamente dalla personalità individuale di ognuno di noi.

Un’ultima cosa che volevo aggiungere riguarda la tua frase “Non hai nemmeno il conforto di sapere che nei casi più terribili, il tuo caro vada in un posto migliore”. Senza dubbio esistono varianti dell’ateismo puramente materialistiche e pessimistiche, ma fortunatamente non sono le uniche. Sottintendere che l’essere ateo precluda la possibilità di una ascensione post-mortem e di una visione di un “aldilà” positivo credo sia nocivo per il dialogo interreligioso e spirituale. Il dibattito su questo tema potrebbe essere lungo, ma il punto che voglio esprimere è che credo sia meglio considerare l’ateismo non tanto come la distruzione di tutto ciò che è religioso, quanto piuttosto come la costruzione di una dimensione che, nel rispetto della prima, cerca di tracciare una propria via indipendente.